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Comici al Festival di Sanremo 2012

Luca & Paolo sparolaccianti alla loro prima esibizione (forse per non far notare la distanza con i Soliti Idioti?) e in veste di clown predicatori nella seconda (forse per non far notare la distanza da Celentano?) hanno concluso invocando il sense of humor dei megadirettori galattici Rai, fingendo di non sapere che siffatti dirigenti vengono incadregati soltanto dopo che hanno garantito una totale e rassicurante mancanza del sense suddetto. I Soliti Idioti hanno dimostrato, in un luogo come il Festival di Sanremo (ovvero quanto di più inadatto vi potesse essere per il loro genere di comicità) di essere pienamente e meritatamente all’altezza del loro marchio. Geppi Cucciari (brava-brava-brava!) ha finalmente dimostrato ad un pubblico ben più numeroso di quello che ha su La7, che l’essere fuoriuscita da una certa macchinetta tritacomici non ha potuto che farle bene. Rocco Papaleo, su cui personalmente avremmo scommesso anche le mutande (di Belen), già bravamente notevole (ma anche notevolmente bravo) fin dai primi film per la tivù dove in una serie interpretava il ruolo di un soldatino di leva (“Classe di ferro” 1989-1991) ed in quella girata subito dopo dove era diventato poliziotto (“Quelli della speciale”, 1992). A Sanremo c’è stato anche Alessandro Siani? Vabbuò…
Alter Bactaer

(Nelle foto, Luca & Paolo in gara al FESTIVAL NAZIONALE DEL CABARET 1996, Torino)

Sfruttati e sfruttatori, tanto per ridere

Da qualche tempo si dibatte sempre più sullo sfruttamento dei comici, sia circa il loro percorso di avvicinamento alla tivù gestito sempre più egemonicamente, sia del loro utilizzo una volta approdati al piccolo schermo. Da qualcuno questo problema viene trattato come se fosse il responsabile di tutti i mali economici del Paese, e i “padroni” di certe trasmissioni televisive dei negrieri ma, realisticamente, resta il fatto che nessuno obbliga i comici a gettarsi nelle loro fauci. E questo credo sia giusto dirlo. Personalmente non ho mai avuto simpatia per quei “padroni”, ma soltanto perché ritengo sbagliato come utilizzano i comici e la comicità nelle loro trasmissioni. Allo stesso modo non mi stanno eccessivamente simpatici quei cabarettisti che sono disposti a tutto, anche a fare anni di costosissimi andirivieni tra un laboratorio/marketing e l’altro pur di riuscire a fare qualche secondo in tivù , magari prestandosi all’odiosissima entrata a schiaffo. Perciò sono sempre più convinto che i comici dovrebbero imparare non tanto a dimenticarsi della tivù quanto a prescindere (Totò docet) da essa: qualcuno è già riuscito a farlo, raggruppando colleghi amici e affittando teatri dove si esibiscono facendo registrare molto spesso il tutto esaurito. Così facendo dimostrano di esistere e di funzionare a prescindere, appunto, dalla loro presenza televisiva e dal momento che quella specie di tritatutto per immagini ha sempre bisogno di vittime sia dentro che fuori lo schermo, chissà che i “padroni” non tornino a fare come si usava una volta. Per fare la trasmissione capostipite “Non Stop” in Rai (1977/1979) gli autori (Bruno Voglino funzionario del centro di produzione Rai torinese, Giancarlo Magalli grande (vabbé, non tanto come altezza) uomo di spettacolo, il giornalista Mario Pogliotti, il regista Enzo Trapani) andarono personalmente in giro nei teatrini di tutta Italia (attenzione: teatrini davvero liberi da marchi imposti televisivamente) per trovare quei favolosi personaggi che allora decretarono una autentica svolta nel modo sia di far ridere che in quello di fare televisione. Un sogno? Chissà…anche i giocattoli più tosti a forza di usarli si rompono.
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