VITA DA MAGO di Giuseppe Bruno
Il mio mestiere è il mago. L’ho deciso da piccolo. Sapete, si decide da piccolo che da grande si farà il mago forse anche perché si è vissuta un infanzia non proprio uguale a quella degli altri. Quando davanti ad ogni cosa che ti accade vorresti usare la bacchetta magica.
In effetti ho avuto un infanzia povera e difficile. Eravamo senza soldi ma uniti. Quando facevamo la fame, io e mio padre, dividevamo anche un solo piatto di pasta e fagioli. Lui man-giava la pasta e fagioli ed io il piatto.
I miei mi avevano comprato tre magliette con sopra scritto il mio nome: Marco. Adesso ho capito che non lo fecero per amore. Era che per loro era l’unico modo per ricordarsi come mi chiamavo.
Il giorno del mio tredicesimo compleanno mi diedero le chiavi di casa. Uscii. Tornai. A-vevano cambiato la serratura. Ed erano anche partiti per le vacanze. Ma ogni tanto ricevevo an-che qualche attenzione. Avevo i denti storti e per raddrizzarmeli mi presero l’apparecchio. Pecca-to fosse usato. Era di Gerardo, il mio vicino. Quando si finirono di raddrizzare i denti a lui, lo misero a me. A diciannove anni ebbi finalmente i denti dritti. Fu allora che cominciai a perdere i capelli.
Giocare con gli altri bambini ogni tanto giocavo pure. Spesso giocavamo a palla prigio-niera ad esempio. Non che mi divertissi molto. Anche perchè la palla prigioniera era la mia. La destra. Le cose non andavano meglio neanche con il prete della mia parocchia. Don Giulio. Tutti gli altri bambini lo chiamavano “Padre”. A me raccomandò: “Tu chiamami zio.”
Quindi sapete, decisi di prendere questa strada un po’ per cambiare le cose con la magia, un po’ perché già c’era un mago in famiglia. Mio nonno.
Dunque, mio nonno era un mago. Era un tipo eccezionale. Precorreva i tempi. Da bambi-no metteva un dito nella lampada a petrolio e prendeva la corrente. A cinque anni si sedeva ad un angolo del soggiorno, di fronte una parete vuota, con l’espressione assente, e gli occhi spalancati. E stava lì per ore. Cinquant’anni dopo, a quello stesso angolo di soggiorno ci venne mes-sa una televisione. Va beh che certi giovedì sera c’è da rimpiangere la parete vuota. Il nonno a-veva un potere particolare per far ingrandire e rimpicciolire gli oggetti e gli animali. A casa ha la-sciato una mucca così piccola che mi fa il latte condensato.
Era un mago diverso da tutti gli altri. Faceva uscire cappelli a cilindro dai conigli, riusci-va a fare poker d’assi anche quando giocava a sette e mezzo, costruiva dei talismani dell’infelicità efficacissimi che rovinavano la vita di chi li portava. Era un uomo che non doveva chiedere mai, tanto lo sapeva che gli dicevano sempre di no. Un uomo che con la sola forza del pensiero vi faceva perdere le chiavi di casa. Un uomo che sapeva indovinare l’ultima volta che avete indossato biancheria intima in disordine. Un uomo che riusciva a leggere il vostro 740 sen-za mettersi a ridere.
Entrò nel mondo della magia per sfondare. Ed in effetti alla fine era sfondato.
E’ un mestiere che porta anche alcuni vantaggi. La segreta speranza di chi fa il mago in fondo è sempre la stessa. Quella che il lavoro che fai ti aiuti a rimorchiare. Certo, di ragazze, co-noscerne, ne conosci tante, girando in lungo e in largo, fermandoti nei posti più diversi, incon-trando tanta gente. Adesso me ne vengono in mente alcune.
Ce n’era una così precisa che per fare l’insalata prendeva la verdura, prima la lavava e poi la stirava.
C’è stata un’infermiera di Passo Corese a cui dissi una volta, mentre ci baciavamo: “An-na, devi saperlo, io ti amo.” E lei mi rispose: “Certo, anch’io ti amo … come hai detto che ti chiami?” Comunque mi voleva bene. A me e a tutti gli altri. Sapete come si dice, amava molto il prossimo. Appena finiva con me, diceva: “Avanti il prossimo.” Finalmente capii che mi tradiva dal fatto che iniziò a tornare dalle sue passeggiate senza aver comprato niente. Però riusciva an-che ad essere romantica. La nostra canzone era “La marcia dei bersaglieri”. Il suo film del cuore, ci piangeva ogni volta lo vedeva, aveva la videocassetta, il cd, il libro, il fotoromanzo che c’aveva fatto “SuperSex”, era “ Con due mani ti rompo, con un piede ti spezzo, con la coliciste ti faccio la permanente.”
E quell’altra, Daphne, Pi Acca, bella bella bella. Dai capelli in su. La conobbi tramite un annuncio su un giornale. “Lieve difetto fisico: zoppico leggermente con una gamba. Con le altre due vado benissimo.”
Poi ce n’era una. Ricordo che forse non era giovane, forse non era bella, forse non era ric-ca. A pensarci bene forse non era nemmeno una donna.
Poi c’era Enrica. Amava le lunghe passeggiate sulla spiagge, le cene a lume di candela, i discorsi romantici, i tramonti, non so se avete capito il genere. Certo, direte, a chi non piacciono queste cose? Come no, piacciono anche a me. Dopo. Insomma, ogni volta che iniziavo a sfiorarla senza le consuete due ore di preparativi, corteggiamento e varie ed eventuali, subito si lamentava: “Ma insomma, così togli tutta la poesia.” “Ma Enrica, altro che togliere la poesia, cerco solo di aggiungere un po’ di prosa.”
E l’ultima. Nina la rossa. La Domenica, sempre a messa, diceva: “Beh, visto che i negozi sono chiusi. Dove vuoi andare? ”
Molte di queste le ho conosciute grazie alla magia. Quindi può anche sembrare che per chi lavora nel mondo dello spettacolo le relazioni femminili siano molto facilitate. Non è proprio così. Una volta, dopo una serata cercai di fermare una ragazza del pubblico che mi era piaciuta molto. Mi presentai, mi squadrò dalla testa ai piedi e mi disse:
“ Beh, visto che sei un mago, fai qualcosa per me. Sparisci.”
Il nostro mito è sempre stato David Copperfield. Non solo per tutti i soldi ed il successo che ha avuto. Ma soprattutto con le donne splendide che ha conquistato. Questo dicevo al mio agente ieri. Certo, dicevo, io e Copperfield facciamo tutti e due più o meno le stesse cose. Ma, facendo un confronto, la mia vita, rispetto alla sua è un vero cesso. Va beh che il mio agente m’ha risposto: “ Guarda che la tua vita è un cesso anche senza fare confronti. ” E’ un piacere sa-pere che c’è qualcuno che ti conforta e ti stimola nei momenti grigi. Io, purtroppo, questo piacere non ce l’ho.
Già, le donne. Come si dice: la donna è l’altra metà del cielo. Si, come no.
L’altra metà del cielo. Quella da dove gli uccelli ci cacano addosso. Un momento, non è che vada sempre male, solo che forse da me ci si aspetta chissà che cosa e a volte succede, come mi è capitato ultimamente, che una ragazza mi dica, un po’ delusa: “Pensavo che avessi qualcosa in più rispetto agli altri.” Io cerco di difendermi: “Guarda che quel qualcosa c’è.” E lei: “Come no. Però, siccome sei un mago, c’è, ma non si vede.”
Adesso ho capito cosa provoca l’ansia della prestazione. Le ragazze sincere. Che poi dove sta scritto che ‘ste poverine, per non far soffrire noi ometti, debbano essere costrette anche a si-mulare. Superiamolo ‘sto complesso della propria infallibile virilità. Se ogni tanto, o spesso, an-diamo sullo scarso, facciamo finta di niente e andiamo avanti. Raccontiamolo tranquillamente agli amici al bar. Immaginiamo un mondo in cui le nostre donne ci possano dire tranquillamente: “Stasera hai fatto pena. Forse hai bucato da qualche parte. Guarda come ti sei sgonfiato.” Oppu-re: “Stavolta non ci siamo proprio. Non hai mai pensato ad una protesi?” O ancora: “Mah, non per offenderti ma confrontandoti con l’ultimo ragazzo che ho avuto, il greco, non c’è paragone. Mica hai visto la mia agendina coi numeri di telefono?” E le classifiche alla Quattroruote? “Sta-sera ti do: Consistenza: 6, Fantasia: 5, Ripresa: 5, Durata: 1 (nel senso di minuto)” Ma insomma, parli di me o della prova su strada della Prinz. Si, tutte queste cose lasciamocele tranquillamente dire. Ma non in questa generazione.
Quindi non pensate sia necessariamente un guaio quando la tua ragazza simula di avere un orgasmo. Io ho incontrato un caso molto peggiore. Sono stato otto mesi con una che simulava di NON averli. Insomma, sentire sentiva, ma faceva finta di niente per non farmi montare la te-sta. Era tedesca. Si chiamava Gudrun. Ora, già un nome così, Gudrun, potrebbe spiegare molte cose. E’ stato il periodo più brutto della mia vita. Andai in cura da quattro medici diversi. Volevo comprarmi la cassa per segare le donne in due nuova e avevo fatto dei risparmi. Li spesi tutti per comprare ogni manuale d’educazione sessuale in commercio. E io che pensavo che l’educazione sessuale fosse quando due stanno a letto e si dicono: “Per cortesia, posso entrare, se non distur-ba?” “Si accomodi, prego.” “Puoi alzare la gamba un altro po’, per favore. Grazie.” “Lo faccio con piacere, non preoccuparti. Grazie a te. ” “Venga prima lei, dottoressa.” “Ma no, venga prima lei, ragioniere, si figuri.” “Ma no. Prima lei, dottoressa, non posso permettere.”
Non immaginate le terapie che abbiamo provato. In una dopo ogni prestazione Gudrun compilava una scheda: “Confrontando con i dati precedenti si nota: i preliminari aumentano del 6 %, l’uso dei dialoghi diminuisce del 13 %, sostanzialmente invariato il coinvolgimento emoti-vo.” Praticamente mi sembrava di stare alla proiezione Doxa per la camera dei deputati. Avevo paura che, tra un dato e l’altro, si materializzasse Bruno Vespa. Per fortuna al terzo tenta-tivo di suicidio Gudrun si convinse a raccontarmi tutto.
Una volta, dopo aver detto ad una ragazza che facevo il mago, ed avergli fatto qualche e-sercizio con le carte, i fazzoletti e i fiammiferi questa mi guarda negli occhi e mi fa: “Certo che tu devi essere molto bravo con le mani, mi piacerebbe chiederti una cosa.” Wow! Penso: stasera è fatta, “Chiedimi quello che vuoi.” Le dico. E lei: “ Senti, perché più tardi non passi da me e provi ad aggiustarmi lo scarico del water.”