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Risultati concorso nazionale di letteratura umoristica PAROLE DA RIDERE 2012, organizzato dall’associazione Il Coro/Cabanews in collaborazione con il FESTIVAL NAZIONALE DEL CABARET

1° classificato: DIEGO CARLI (Verona)
Titolo: “Anna e Marco (a Dalla piacendo)”

“Che noia l’Ikea.”
Marco se lo ripeteva tutti i giorni da quando lo avevano assunto presso la sede di Carugate.
Montava alle otto e smontava alle venti. Sempre lo stesso tavolino.
“Che noia l’Ikea.” Marco se lo ripeteva tutti i giorni.
“Venga Baraldi!” Gli aveva detto il capo sede il giorno del colloquio: “Prenda quella seggiola e si sieda, le dò tre minuti.” Marco s’era guardato attorno ma di sedie in quell’ufficio, manco l’ombra. Solo un cacciavite a stella, venti viti sulla scrivania e un pacco piatto a terra. Volevano verificare l’attitudine al lavoro fin da subito. Non si perse d’animo, in due minuti e quarantanove secondi scartato il pacco, col cartone costruì una sedia in scala uno a uno quasi perfetta e facendo finta di sedervi sopra pensò “Alla fine quell’inutile corso di mimo e origami che ho frequentato due anni fa è servito a qualcosa.”
Il capo sede per tutto il tempo lo osservò con la stessa espressione di un guerriero cinese in terracotta seppellito da duemila anni per poi aggiungere muovendo solo il labbro inferiore a mò di pupazzo da ventriloquo: “Baraldi. Non riesco a distinguere in lei la sottile linea che separa il genio dallo stronzo.” “Con linea intende forse una serie di punti adimensionali ravvicinati che si susseguono l’un l’altro?” chiese Marco. Assunto per senso creativo nell’affrontare un problema, ma ben presto Marco si accorse che l’unica fantasia che ti puoi permettere, se sei un magazziniere, è pensare a come sarebbe singolare fare le impennate col carrello elevatore.
“Che noia l’Ikea.” Marco ormai quel tavolino lo montava ad occhi chiusi e con gli occhi ben serrati cominciò a pensare: “Billy. Skoglund. Perché mai dare ad una libreria il nome di un cane ed a un divano letto quello di un attaccante dell’Inter degli anni cinquanta?” C’era un senso di precarietà in tutto questo, di incertezza, di imprecisione. Ecco, gli svedesi Marco se li immaginava così, come i contenuti dei sacchettini nel kit di montaggio: pratici e moderni ma alla fine manca sempre qualcosa; certo non lo si può definire un popolo di grandi artisti pensava, per esempio, metti a confronto un quadro fiammingo e un quadro svedese: Il primo ci passi delle ore davanti, il secondo al massimo ci passi attraverso e non è una differenza da poco. Un senso di logica instabile. Persino il cibo non è chiaro: Un popolo si distingue anche da quello che mangia; un tedesco è preciso, lo si vede dal würstel: è un cibo che sai dove inizia e sai dove finisce, l’italiano è incasinato, basti guardare gli spaghetti: non si capisce un cazzo, ma gli svedesi sono degli indecisi: o salato o dolce che ci vuole? E allora perché abbinare le polpette con la marmellata? Non c’è logica. Ma forse una logica c’è dato che le polpette escono dal tuo corpo con la stessa dimensione con cui vi sono entrate, probabilmente la marmellata fa da lubrificante. Questo comunque, non toglie i dubbi su una vita di incertezze. Pensare che i loro antenati, i Vichinghi, furono guerrieri e navigatori. Andarono persino in America, con le loro navi montate in una domenica pomeriggio senza usare un chiodo e dal nome di una scarpiera: “Drakkar”. Hanno sempre avuto la fissa del franchising, togliere il lavoro agli irlandesi apatici e darlo ai pellerossa che costavano meno. Solo vai a spiegare tu ad un Dakota che è sbagliato vivere dentro a delle tendine che in Svezia le trovi solo al reparto bambini, spiega ad un Cherokee il concetto “con un minimo sovrapprezzo un operaio specializzato partirà da Stoccolma al Main e ti monterà comodamente un intero villaggio in legno direttamente a casa tua.” Infatti i nativi americani non apprezzarono l’idea del “fai da te” e li ricacciarono in mare.
E fu così che Marco, assorto dai suoi pensieri estremamente filosofici, non si accorse del ticchettio continuo di due dita sulla spalla da ormai svariati secondi. Dopo il quarto “mi scusi?” Marco si girò con la flemma di un bradipo boliviano convinto che nulla sarebbe mai accaduto di così straordinario nell’angolo dedicato ai tavolini da sei euro e invece, Lei.
Anna non era né bella, né brutta. Né alta né bassa. Né magra né grassa. Né elegante né sciatta. Era solo né. La sua vita era costellata di né. Da adolescente non aveva neppure avuto la possibilità di avere il problema di sentirsi diversa e inadeguata tanto era simile a tutte le altre ragazze medie del mondo. Lei era media. Se la media avesse avuto una percentuale lei stava giusto nel mezzo. Facendo una media di tutte le medie che mediamente stanno nella media, lei era la media assoluta. E a questo Anna ci si era abituata da tempo.
Orfana di padre, con una madre ossessiva e una sorella convulsiva, un lavoro al call center e una storia affettiva alle spalle arida quanto il deserto dei Gobi, Anna aveva finalmente deciso dopo sei anni di andare a vivere da sola ma ancora non aveva detto nulla a casa rimandando all’infinito la decisione per evitare di vedere l’ennesima scena isterica di sua madre che tenta di suicidarsi con le Air Vigorsol, convinta che se uno scoiattolo ne mangia una e scorreggia montagne di ghiaccio, lei con un pacchetto intero sarebbe morta con gli organi interni completamente congelati. Non aveva neppure accennato a quel suo ragazzo, l’unico che avesse mai avuto, con il quale perse la verginità una sera qualsiasi di ottobre, in un parcheggio da Trony, non per merito suo ma della leva del cambio della Smart che è una macchina studiata per altri tipi di prestazioni, basta guardare il libretto. Risultato: una sera buttata al pronto soccorso, sei punti, due antibiotici e chi sé visto sé visto. Una cosa sola aveva che manco lei sapeva di avere: una luce negli occhi che ti perforava l’anima come una punta del dieci per lasciarti un buco sbagliato nel muro della tua vita e che, hai voglia a riempirlo col gesso: si noterà sempre.
Anna fece questo effetto a Marco. “Mi scusi, ho preso la cucina, una libreria, il letto e un tavolo ma non riesco a caricare tutto da sola, non è che per caso mi darebbe una mano lei?”
Marco la osservò come si osserva una mensola storta, buttò un occhio al carrello sofferente sotto un muro di pacchi piatti e senza dire una parola spinse il tutto verso il parcheggio. “Lei è un tipo di poche parole non è così?” disse lei, Marco sbuffava facendo gimkane tra le auto in sosta, “Non è semplice trovare tipi gentili al giorno d’oggi, per fortuna esistono ancora i cavalieri, anche senza cavallo voglio dire, cioè con il termine cavaliere s’intende uno che ha un cavallo è chiaro, ma tipi come lei, mi capisce, che pur senza cavallo fanno i cavalieri non se ne trovano spesso e trovarne uno fa piacere, cavallo a parte. Non so se mi spiego.” Pausa. “Magari lei veramente ce l’ha un cavallo.” Marco girò un occhio solo nella sua direzione, l’altro faceva da navigatore. “Oddio che stupida che sono.” E arrossendo Anna puntò lo sguardo verso l’asfalto bagnato. Lui, guardando la macchina di lei, una Ford Ka, pensò che l’unica frase intelligente pronunciata in tutto quel percorso era “Oddio che stupida che sono.” E non fu l’unica cosa che pensò. Sembrava che i suoi pensieri uscissero dalle orecchie sotto forma di fumo bianco: “Ma questa stronza come pensa di caricare tutta sta roba su una macchina del genere?” Poi si lasciò sfuggire questa frase: “Anche ammesso avesse il portapacchi, non ci possono stare trentadue pacchi su un portapacchi, se ci fosse il portapacchi! Ma il portapacchi non c’è e sarebbe comunque un pacco trasportare questi pacchi!” e si sistemò il pacco. Lo disse talmente ad alta voce che metà del parcheggio, senza rivolgere uno sguardo ai due, annuì con un cenno della testa. Uno alzò anche le sopracciglia in segno di resa davanti ad un’ovvietà. Per Anna fu come sentirsi osservati facendo capolino da un pentolone per cannibali, allora disse con falsa sicurezza. “Beh la pubblicità su quel cartello dice ‘Se fai da te risparmi, Porta tu stesso i mobili a casa. Così puoi godere subito dei tuoi acquisti e risparmiare’, non è cosi?” Marco sbottò “Si ma ci vuole un mezzo adatto al volume di materiale da trasportare altrimenti lo facciamo noi con un sovrapprezzo a partire da ventinove virgola ventiquattro euro, entro quattro giorni a casa tua!” Marco fu tentato di mollala lì e ritornare al calduccio del magazzino ma lei ritirò fuori il trapano con la punta del dieci e perforò nuovamente con lo sguardo il muro della sua resistenza dicendo: “Ed ora che faccio? Non posso permettermi di spendere ventinove virgola ventiquattro euro in più.” Passarono trenta lunghissimi, interminabili, geologici secondi, nel frattempo Marco aveva già stimato il costo del trasporto intorno ai duecentoquarantasei virgola ventiquattro euro ma non disse nulla: stava tentando di mettere il gesso della ragione nei buchi del muro dei suoi sentimenti. Ma si vedevano, eccome se si vedevano. Non era da lui fare colpi di testa. Eppure la frase gli uscì dalla bocca a sua insaputa: “E va bene. Finisco il mio turno alle otto, aspetterò che tutti siano usciti per non dare nell’occhio, caricherò i pacchi sul furgone e glieli porterò a casa sua, le monterò tutti i mobili ma entro mezzanotte devo riportare assolutamente il furgone alla base, se siamo fortunati nessuno lo saprà.” Poi a denti stretti aggiunse “Ma che cazzo sto facendo?” Era troppo tardi. Anna non smetteva più di saltellare e ringraziare, ringraziare e saltellare. “Io, non so proprio come sdebitarmi ah, intesi, lei è mio ospite questo è il minimo, per la cena intendo, faccio tutto io lei non si preoccupi. Adesso che ci penso non ho la cucina in effetti perché è in questo pacco. Allora che si cucina dirà lei? Non si cucina. Ma l’ho invitata a cena e quindi? Oddio come faccio senza cucina? Oh cavoli, qualcosa ci inventeremo non è così?” pausa “Magari i cavoli no.” Marco si era già pentito da un pezzo. Anna anche senza cucina, era già cotta.
Otto e venti, Marco caricò silenziosamente l’ultimo pacco e defilato uscì dal cancello col furgone d’ordinanza eludendo la sicurezza che aveva già iniziato il suo giro.
La nuova casa di Anna non era poi così male: quaranta metri quadrati calpestabili in un condominio prevalentemente abitato da senegalesi e pachistani, dove l’odore di cuscus e verdure mischiato a riso basmati creava nell’aria un profumo acre e antico come le ascelle della Dea Calì. Ma erano tutti molto gentili anche se le esalazioni arrivavano fino al quarto piano. Già, quarto piano. Perché l’appartamento di Anna stava al quarto piano. Senza ascensore. Ecco dove si annidava il male. Alla fine dell’ultima salita, Marco stramazzò sul trentaduesimo pacco irrorandolo di sudore. Anna aveva preso due kebap con patatine e senza convenevoli iniziarono a scartare e rosicchiare, comporre e sbocconcellare, e qui venne a galla tutta la precarietà svedese: mancavano pezzi, viti, incastri e persino istruzioni. Marco non si perse d’animo, si ricordò che venne assunto per la sua provinciale creatività e segando un pezzo di qua, incastrando un pezzo di là ricreò nuovi design dal sapore surreale e grottesco ma il tutto reggeva. Oddio, sembrava di vivere dentro una scenografia di un film espressionista tedesco dove dalla cucina usciva il letto per incastrarsi nella libreria e viceversa ma in fondo era un ambiente divertente. Anna guardò tutta soddisfatta l’opera d’arte astratta che era la sua casetta e poi si lanciò. Timida com’era non lo aveva mai fatto in tutta la sua vita, lei che aveva sempre subito gli eventi senza una dialettica, lei che non osava fare un passo in più per paura di inciampare nella vita, lei che per formulare una frase doveva ogni volta ingaggiare una lotta greco-romana con le parole. Quella sera si lasciò cadere nel vuoto. Col cuore che bussava sullo sterno e nelle tempie buttò li una frase senza pensarci due volte. “Beh, a questo punto, per sapere se il letto reggerà, non è che sia il caso di provarlo prima?” ma nella mente sua risuonavano tutt’altre parole: “penserà che sono una puttana, penserà che sono una puttana.” Che brutti scherzi combina l’ovulazione. Anna per la prima volta dormì nella casetta nuova. Marco non rientrò a casa quella sera.
Ritornare alle undici sul posto di lavoro con tre ore di ritardo e per giunta con un furgone sottratto di nascosto all’azienda, incontrare sul cancello del retro la dirigenza intera impietrita, i colleghi sgomitanti e una trentina di clienti imbufaliti non è una bella cosa. Marco fece appello a tutta la sua flemma e partorì un semplice “Trovato casino.” Dopodiché fece un ellisse con i piedi girando su se stesso e l’Ikea uscì dalla sua vita. Non prima di aver sottratto dal cestone degli sconti un Teddy Bear strabico. “Che noia l’Ikea” pensò. Nessuno osò fermarlo. Anna arrivò da Marco come Supergirl: letteralmente volando, su per giù verso l’una. “Come sto?” disse. Marco la guardò, il Teddy Bear non si capiva dove cazzo guardasse: aveva un filo di trucco, due treccine fatte alla rinfusa, una gonnellina corta e un giubbottino dello stesso colore degli anfibi. “Com’era bella” pensò, la più bella ragazza media che avesse mai visto. Lui, senza parole le diede l’orso guercio, lei fu felice di ricevere quell’improvvisato regalo, del resto non ci si fa troppe domande complicate sul significato delle cose all’inizio di un amore, poi Marco prese le sue guance tra le mani e lei provò un brivido acuto come un dolore che non ricordava più da tempo, come quando suo padre la accarezzò sul viso quel pomeriggio, poco prima di morire. Marco le disse tutto, misurando parola per parola in modo da non procurarle inutili ferite, minimizzando l’accaduto perché in fondo, lui si aspettava di più dalla vita che montare tavolini da sei euro. Anna capì tutto perché era una ragazza intelligente. Troppo intelligente. Fece uno sforzo titanico nel trattenere lo tzunami che stava per travolgere i suoi occhi e resettò tutte le frasi, tutte le parole, tutte le intenzioni, tutte le pause di Marco tranne un insieme di vocaboli che non avrebbe dimenticato facilmente: “Adesso ti prego non farti delle idee che sia stata colpa tua.” “Colpa tua.” “Colpa tua.”
Anna avrebbe voluto morire. Marco voleva andarsene lontano.
Qualcuno li ha visti per strada, tenendosi per mano.

2° classificato: ALEX CURINA (Torino)
Titolo: “Sono disoccupato”

Sono disoccupato! Che strano in Italia essere disoccupati a 36 anni. Mi è sembrato distrattamente di sentire che in questo paese c’è crisi, figuriamoci sarà solo un’invenzione dei mass media o di qualcuno di sinistra.
Sono un “bamboccione”! Sono andato via di casa a 34 anni, ma per non staccarmi del tutto dalla mamma ho cercato vicino a casa un posto da disoccupato.
Sono diplomato come perito elettronico, una volta quando sentivano questa qualifica tutti pensavano fossi elettricista, oggi quando la sentono pensano solo che sono…disoccupato, magari avessi una laurea almeno potrei ambire ad un call center.
L’Italia è il paese dei paradossi, una volta appena finita la scuola al tuo primo colloquio della vita, ti assumevano solo se avevi già lavorato, se avevi esperienza. Con l’avvento della crisi si iniziò a leggere annunci del tipo: “Cercasi tecnico con grossa esperienza per contratto d’apprendista, auto…munito”. Oggi a crisi conclamata e ben salda, si legge: “Cercasi lavoratore bravo, serio, no perditempo auto…retribuito”. In Italia puoi chiedere un prestito solo se hai dei soldi, pubblicizziamo yogurt buoni solo perché fanno cagare, ci fanno credere addirittura che esiste acqua che faccia fare la pipì. I politici non vogliono aprire le “case chiuse”, perché preferiscono “chiuderle in casa” per fare gare di burlesque.
E’ sempre più complicato se non impossibile trovare lavoro, conosco gente che a mandato talmente tanti curriculum che l’ha messo come esperienza nel curriculum. Fassino prima di trovare lavoro era obeso, Flavia Vento era intelligente, la Canalis vergine.
Ho fatto qualunque tipo di lavoro, operaio, pizzaiolo, panettiere, strillone, mbianchino, ginecologo (ma quello solo con le ragazze che ci cascavano), cameriere ed in fine impiegato tecnico per sette anni. Ma la chiusura della ditta dove lavoravo è coincisa con il mio approccio verso il mondo della recitazione, così ho capito cosa volevo fare da grande….l’ ATTORE! Cioè il disoccupato!
Che non si dica in giro che non ho cercato un lavoro normale, anzi di colloqui ne ho anche fatti, ho addirittura lavorato all’IKEA, con due rinnovi, roba da non credere, 6 mesi di Lack, Billy e Brugole. Poi naturalmente quando impari il mestiere non servi più e quindi tutti a casa, pronti a cercare un’altra pseudo occupazione.
Sono stato talmente disperato che un giorno ho addirittura pensato di andare a fare il “Grande fratello”, avete capito bene il “Grande fratello”, ho partecipato anche alle selezioni, poi mi sono accorto che approdavano solo persone che conoscevano qualcuno, ma io non conoscevo nessuno…che mi volesse così male.
Mi sono reso conto che ormai sono troppo vecchio per entrare nel mondo del lavoro, e sono troppo giovane per fare politica. Avendo lavorato qualche volta in nero sono troppo delinquente per essere assunto, ma con la fedina penale pulita sono troppo onesto per candidarmi. Sono troppo scemo per andare a rubare e troppo intelligente per lavorare. Ogni tanto ho anche voglia di lavorare in banca, ma il passamontagna prude da matti.
Così ormai immerso nel vortice della disoccupazione, ho deciso di approfondire l’arte della recitazione, in dodici anni sono cresciuto diventando attore, autore, animatore, conduttore, cabarettista, insegnante di recitazione e regista. Tutte parolone che stanno a significare semplicemente che sono povero. Certo, sono povero perché non sono ancora passato dalla televisione, passaggio obbligatorio per la notorietà e conseguentemente anche per la ricchezza. Tanti mi dicono che prima o poi famoso lo diventerò, solo che vorrei diventarlo per qualcosa d’artistico e non perché mi sono legato ad un palo della luce in centro, facendo contemporaneamente lo sciopero della fame, della sete e del sesso. In fondo io non voglio diventare veramente famoso, voglio solo diventare ricco, anche se non mi darà mai la felicità, chi se ne frega, da povero sono quasi sempre incazzato, tanto vale esserlo da ricco. Anche perché in Italia basta poco per diventare famoso, basta ammazzare qualcuno, se è un parente è meglio, e ti assicuri dodici puntate su Matrix e tredici a Porta a Porta, ti fanno anche il plastico della tua abitazione gratis, senza dover aspettare che escano i pezzi in edicola. Basta dire che non sei stato tu, dopo qualche mese che sei stato tu e infine che non sai bene chi è stato, così vai a “L’isola dei famosi”, la vinci e sei una star.
Ho capito che nel mestiere dell’artista ci sono tre regole per sfondare, la prima è essere bravi, la seconda è avere culo, la terza è AVERE CULO! Anche se forse della prima, se conosci il politico giusto puoi anche farne a meno. Oppure bisogna prendere il treno giusto quando passa, solo che mi hanno detto che il mio treno è sulla linea ferroviaria della TAV. Il culo serve, tutta la nostra esistenza è basata sul culo, bisogna trovarsi al posto giusto al momento giusto. Pensate alle grandi scoperte, immaginate se le tre caravelle invece che essere guidate da Cristoforo Colombo, fossero state guidate dal comandante Schettino, al massimo avrebbe scoperto la Corsica, ma solo perché faceva il tamarro impennando la Nina, la Pinta e la Santa Maria, e non vedendo niente la prendeva in pieno.
Prima o poi comunque qualcuno mi scoprirà e io mi farò trovare pronto, l’importante che quel qualcuno non sia Schettino.
Oggi purtroppo si suicidano anche gli imprenditori, che nell’immaginario collettivo sono quelli che stanno meglio, sono i ricchi. Allora siamo arrivati veramente ad un bivio, lasciare perdere tutto o continuare a vivere. Non so voi cosa farete ma di certo io continuerò a vivere. Grazie!!!

3° classificato: RICCARDA PATELLI LINARI (Scandicci)
Titolo: “Check up”

Anche quest’anno farò un bel check-up perché io ci tengo alla mia salute.
Inizierò con le analisi del sangue. Mi farò la nitroglicemia, la sederemia, l’azotomania, il polistirolo, la birillirubina, la cretinina, le transessuaminasi… e mi farò anche una cultura sulla pipì, l’urinocultura.
Per risparmiare ho prenotato online in un nuovo centro medico nella mia città, dove fanno anche il day hospital e ci sono un sacco di ambulatori!
Miii… gli hanno dato dei nomi così belli! Tutti con le ali, l’aria, il vento!
Lo fanno per mettere a proprio agio i pazienti che così affrontano gli esami con più leggerezza e si sentono sollevati dalle preoccupazioni.
E’ un centro internazionale molto elegante… uhhh com’è elegante!
Infatti il check-up lì lo chiamano check-in!
Questa sì che è classe!
E che servizio!
Per farvi un esempio, ci sono gli ambulatori di Air France per i francesi, quelli British Airways per gli inglesi, ma non solo! Hanno pensato anche ai single, con Air One!
E per chi soffre di disturbi respiratori ci sono Air Dolomiti, Ryanair e Windjet… specializzati nelle inalazioni!
Ci sono già stato l’anno scorso ed ho fatto il check-up, anzi il check-in, con Air One… visto che purtroppo sono single!
All’accettazione mi sono presentato senza bagaglio, tanto era un day hospital.
Niente pigiama, ciabatte e spazzolino, invece molti avevano dei valigioni così enormi! Forse si dovevano ricoverare per chissà quanti giorni… c’è tanta sofferenza in giro. Poveracci, non li invidio proprio!
Fatta l’accettazione sono entrato in reparto e mi hanno subito fatto una bella radiografia con un nuovo macchinario che ci passi sotto e si mette a suonare, e finché non smette di suonare ti fanno passare e ripassare… sono esami molto approfonditi!
Quando smette di suonare significa che è tutto ok e puoi passare alla TAC.
Miii… quant’è grosso il tubo della TAC!!!
Ce ne sono tanti e sono enormi!
E li spostano continuamente in un grandissimo piazzale. Hanno pure le ruote e i motori!
Bisogna ammettere che la medicina moderna ha fatto passi da gigante ultimamente!
E dentro non ti ci infilano da solo… no! Siamo in tanti tutti seduti insieme su comode poltroncine come al cinema… una TAC collettiva per i single!
Insomma unisci l’utile al dilettevole perché ti fai la TAC e intanto conosci gente, “socializzi” e… ci siamo capiti!
E mentre la macchina è in funzione, su schermi laterali proiettano immagini che ti pare di volare! Il cielo, le nuvole… è bellissimo!
Altro che castropazzia… cacchiomania… no, come si dice… claustrofo…fobia!
Che meraviglia! Fantastico!
Però, ad essere sincero, un problemino c’è stato.
Eh sì, l’anno scorso all’uscita dalla TAC non ritrovavo più la strada e mi sono perso.
Mah… forse saranno stati gli effetti collaterali del mezzo di contrasto che ci hanno dato dentro il tubo. Sapeva di coca cola, ma doveva essere una roba più forte, e così all’uscita mi pareva di essere in un altro posto, addirittura con cartelli scritti in un’altra lingua!
Non capivo più nulla, né i cartelli né cosa diceva la gente… e così per non perdermi ho preso un taxi e pure il tassista era straniero!
Per fortuna sono riuscito a farmi capire quando gli ho detto l’indirizzo di casa mia. All’inizio ha spalancato gli occhi, forse era nuovo e non conosceva la zona, ma poi ha acceso il navigatore, mi ha fatto “ok” col pollice alzato ed è partito.
Durante il viaggio di ritorno a casa devo essermi addormentato per qualche minuto e al risveglio senza accorgermene ero già arrivato.
Ho speso 1.500 euro… minchia i taxi sono rincarati troppo ultimamente!
Oppure il tassista straniero ha fatto il furbo!? Non sono razzista però io mica mi fido tanto!
Ma quest’anno niente scherzi!
Eh no! No, no, mica sono scemo!
Quest’anno il check-up lo faccio con Alitalia così sono sicuro che all’uscita trovo un tassista italiano!

PAROLE DA RIDERE: Check Up, di Riccarda Patelli Linari

CHECK UP di Riccarda Patelli Linari

Anche quest’anno farò un bel check-up perché io ci tengo alla mia salute.

Inizierò con le analisi del sangue. Mi farò la nitroglicemia, la sederemia, l’azotomania, il polistirolo, la birillirubina, la cretinina, le transessuaminasi… e mi farò anche una cultura sulla pipì, l’urinocultura.

Per risparmiare ho prenotato online in un nuovo centro medico nella mia città, dove fanno anche il day hospital e ci sono un sacco di ambulatori!

Miii… gli hanno dato dei nomi così belli! Tutti con le ali, l’aria, il vento!
Lo fanno per mettere a proprio agio i pazienti che così affrontano gli esami con più leggerezza e si sentono sollevati dalle preoccupazioni.

E’ un centro internazionale molto elegante… uhhh com’è elegante!
Infatti il check-up lì lo chiamano check-in!
Questa sì che è classe!
E che servizio!

Per farvi un esempio, ci sono gli ambulatori di Air France per i francesi, quelli British Airways per gli inglesi, ma non solo! Hanno pensato anche ai single, con Air One!
E per chi soffre di disturbi respiratori ci sono Air Dolomiti, Ryanair e Windjet… specializzati nelle inalazioni!

Ci sono già stato l’anno scorso ed ho fatto il check-up, anzi il check-in, con Air One… visto che purtroppo sono single!

All’accettazione mi sono presentato senza bagaglio, tanto era un day hospital.
Niente pigiama, ciabatte e spazzolino, invece molti avevano dei valigioni così enormi! Forse si dovevano ricoverare per chissà quanti giorni… c’è tanta sofferenza in giro. Poveracci, non li invidio proprio!

Fatta l’accettazione sono entrato in reparto e mi hanno subito fatto una bella radiografia con un nuovo macchinario che ci passi sotto e si mette a suonare, e finché non smette di suonare ti fanno passare e ripassare… sono esami molto approfonditi!

Quando smette di suonare significa che è tutto ok e puoi passare alla TAC.

Miii… quant’è grosso il tubo della TAC!!!

Ce ne sono tanti e sono enormi!
E li spostano continuamente in un grandissimo piazzale. Hanno pure le ruote e i motori!
Bisogna ammettere che la medicina moderna ha fatto passi da gigante ultimamente!

E dentro non ti ci infilano da solo… no! Siamo in tanti tutti seduti insieme su comode poltroncine come al cinema… una TAC collettiva per i single!
Insomma unisci l’utile al dilettevole perché ti fai la TAC e intanto conosci gente, “socializzi” e… ci siamo capiti!
E mentre la macchina è in funzione, su schermi laterali proiettano immagini che ti pare di volare! Il cielo, le nuvole… è bellissimo!
Altro che castropazzia… cacchiomania… no, come si dice… claustrofo…fobia!

Che meraviglia! Fantastico!
Però, ad essere sincero, un problemino c’è stato.
Eh sì, l’anno scorso all’uscita dalla TAC non ritrovavo più la strada e mi sono perso.

Mah… forse saranno stati gli effetti collaterali del mezzo di contrasto che ci hanno dato dentro il tubo. Sapeva di coca cola, ma doveva essere una roba più forte, e così all’uscita mi pareva di essere in un altro posto, addirittura con cartelli scritti in un’altra lingua!

Non capivo più nulla, né i cartelli né cosa diceva la gente… e così per non perdermi ho preso un taxi e pure il tassista era straniero!
Per fortuna sono riuscito a farmi capire quando gli ho detto l’indirizzo di casa mia. All’inizio ha spalancato gli occhi, forse era nuovo e non conosceva la zona, ma poi ha acceso il navigatore, mi ha fatto “ok” col pollice alzato ed è partito.
Durante il viaggio di ritorno a casa devo essermi addormentato per qualche minuto e al risveglio senza accorgermene ero già arrivato.
Ho speso 1.500 euro… minchia i taxi sono rincarati troppo ultimamente!
Oppure il tassista straniero ha fatto il furbo!? Non sono razzista però io mica mi fido tanto!

Ma quest’anno niente scherzi!
Eh no! No, no, mica sono scemo!
Quest’anno il check-up lo faccio con Alitalia così sono sicuro che all’uscita trovo un tassista italiano!